L’idea di “Parole per sé” si è fatta spazio nelle mie notti insonni, alla ricerca di risposte che forse non verranno mai e rischiano di perdersi nell’obsolescenza dei modi di intendere la vita, in quel retrogusto di stantio che non è apprezzabile nel vino ma dovrebbe farci quantomeno riflettere sulla faticaccia quotidiana nello stare al mondo, e nel tentativo di mettere su, uno ad uno, i mattoni della nostra esistenza.
Scrivere per parlarsi, per instaurare un dialogo con sé, implica guardarsi indietro, cercare la radice dei propri pensieri e dei propri atteggiamenti. Partire da sé, dalla conoscenza del proprio io, senza piedistalli su cui appoggiarlo, ma semplicemente un letto comodo e un guanciale in cui affondare, con la serenità della notte che ci avvolge col suo buio e non ci lascia vedere oltre quello che c’è in noi, senza consensi e dissensi che vengano dall’esterno, senza altra letteratura da cui attingere copiaincolla di emozioni.

Parole per sé è un invito a scrivere un pezzo della propria vita e a condividerlo insieme, qui. Un ricordo, un momento, un incontro che hanno fatto riflettere e indotto un cambiamento, una consapevolezza. Vita comune che si fa racconto e si percepisce nella sua unica dimensione di tempo presente.

Parole per sé non ha la pretesa di essere un concorso letterario perché non ci sono premi da vincere, non ci sono scrittori e critici che esprimeranno pareri e commenti, non ci sono promesse di patinatura. C’è – e non è poco – l’auspicio di un viaggio attraverso la conoscenza di sé, con la certezza che le parole per sé non sono mai parole perse.

Buon viaggio.

PAROLE PER SÉ

di Jane Bowie
Ha appreso da poco che c’è una cosa che si chiama scrittura.
I grandi coprono fogli di segni. Questi segni sono allineati e organizzati in gruppi. Le piacciono soprattutto quelli che vanno in su e quelli che vanno in giù. Gli altri sono un pochino noiosi. Si esercita a riempire pagine e pagine di segni che crede essere molto simili a quelli dei genitori. Fa gruppi di segni più corti e più lunghi, come i grandi, ma sta attenta ad includerne sempre parecchi che vanno su e parecchi che vanno giù, così che la sua scrittura risulti più interessante per chi la legge.

È rimasta momentaneamente delusa dal fallimento della sua teoria che i gruppi fossero in qualche maniera collegati con le parole. Le hanno comperato una rivisita di fiabe e fumetti per bimbe, chiamata C’era una Volta per Bambine. Cercando di leggere una parola per ogni gruppo di segni ha visto che i gruppi finivano sempre a Volta e non ce n’erano per per e bambine. Che rabbia! Poi le hanno detto che C’era una Volta per Bambine era finito e allora le avevano preso Fiabe da Raccontare. Si sentì molto meglio.
Un giorno aveva bisogno di scrivere. Era molto importante. Era urgente. Doveva farlo. Aveva in mano una grossa matita rossa. Mancava la carta. Ma era impellente scrivere con la matita rossa. Guardandosi in giro si accorse che c’era una zona di moquette gialla, dietro ad una sedia, che nessuno avrebbe mai visto e dove nessuno andava a mettere i piedi. Non serve a niente e non si vede nemmeno, ragionò. In ginocchio, dietro alla sedia riempì di segni importanti una zona di moquette di mezzo metro quadrato, convinta della bontà della sua logica.
I suoi genitori meno. Molto, molto meno…
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TEMPO
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Seduta davanti al computer, si alzò di colpo, con uno scatto della testa al grido “Mamma! Ho scritto!”. La manina di tre anni le offrì un foglio. Era da tempo che la manina amava tenere una matita o una penna e scarabocchiare. Ma non l’aveva mai definito scrittura.
Aveva riempito un foglio con minuscoli, ordinati segni tondeggianti ma diversi tra di loro, perfettamente allineati. Alcuni assomigliavano del tutto a delle lettere, altri erano segni ben distinti e ripetuti. Non andavano molto su e giù, evidentemente sua figlia non condivideva la passione estetica per le h e le g e le t e le p.

Il giorno dopo un’altra storia. Un foglio intero a quadretti 5mm riempito, ogni quadretto un segno. C’erano diversi inchiostri, questo lavoro era evidentemente il frutto di diverse riprese, un’impresa progettata e portata a termine con determinazione. Tanti, minuscoli, tondi, confortanti letterine ognuna nella sua casetta, ognuna tenuta al sicuro così da non poter scivolare giù e cadere dalla pagina.
“Mamma ti ho scritto una storia”.

E questa, a differenza di quella sulla moquette di tanti anni fa, me la posso tenere.