L’idea di “Parole per sé” si è fatta spazio nelle mie notti insonni, alla ricerca di risposte che forse non verranno mai e rischiano di perdersi nell’obsolescenza dei modi di intendere la vita, in quel retrogusto di stantio che non è apprezzabile nel vino ma dovrebbe farci quantomeno riflettere sulla faticaccia quotidiana nello stare al mondo, e nel tentativo di mettere su, uno ad uno, i mattoni della nostra esistenza.
Scrivere per parlarsi, per instaurare un dialogo con sé, implica guardarsi indietro, cercare la radice dei propri pensieri e dei propri atteggiamenti. Partire da sé, dalla conoscenza del proprio io, senza piedistalli su cui appoggiarlo, ma semplicemente un letto comodo e un guanciale in cui affondare, con la serenità della notte che ci avvolge col suo buio e non ci lascia vedere oltre quello che c’è in noi, senza consensi e dissensi che vengano dall’esterno, senza altra letteratura da cui attingere copiaincolla di emozioni.

Parole per sé è un invito a scrivere un pezzo della propria vita e a condividerlo insieme, qui. Un ricordo, un momento, un incontro che hanno fatto riflettere e indotto un cambiamento, una consapevolezza. Vita comune che si fa racconto e si percepisce nella sua unica dimensione di tempo presente.

Parole per sé non ha la pretesa di essere un concorso letterario perché non ci sono premi da vincere, non ci sono scrittori e critici che esprimeranno pareri e commenti, non ci sono promesse di patinatura. C’è – e non è poco – l’auspicio di un viaggio attraverso la conoscenza di sé, con la certezza che le parole per sé non sono mai parole perse.

Buon viaggio.

PISTACCHIO O CIOCCOLATO?

di Alex
Una stella ozia pigramente sulla schiena del monte, brilla in uno spazio buio di cielo, così piccola non ha paura del vuoto, del nulla che la circonda.
La montagna è una striscia scura, frastagliata contro il blu più chiaro del cielo.
Ho fermato la macchina sulla strada (qui non passa nessuno a quest’ora), ho spento le luci, il motore e sono sceso.Tutto intorno è buio e silenzio.
In questo gelido e terso cielo invernale la luna risplende sovrana. Non è ancor piena, ma già la sua luce illumina il paesaggio di una luce fredda e bianca, che accentua i contrasti, uccide i mezzi toni e le sfumature.
Tutto intorno, nel cielo, manciate di stelle si contendono gli spazi bui, si riconoscono le costellazioni, Orione, Cassiopea, il Sagittario.
L’Orsa Minore, il piccolo Carro è poco sopra l’orizzonte, con il timone da sempre, indica il Nord.
La strada è bianca, lastricata di pozzanghere ghiacciate.
Davanti a me si stendono i prati, qualche rado albero segna i confini dei poderi, chiazze di neve risaltano chiare qua e là.
Poi, più in là, un’ombra più scura denota l’inizio del bosco, che sale fino a confondersi con il profilo delle montagne.Che sensazione strana essere qui stanotte.
Faccio alcuni passi su questa strada che ho percorso innumerevoli volte, a piedi, in bicicletta, da solo o in compagnia, accendo una sigaretta… non fosse tutto così umido mi piacerebbe sdraiarmi da qualche parte … a guardar le stelle… a pensare… a sognare…
Da bambino venivo qui con la nonna a funghi. Le biciclette gettate in un fosso, si percorrevano sentieri invisibili, che giravano attorno agli alberi, frugando con il bastone tra l’erba alta e dura, spostando delicatamente le foglie.
Il silenzio era d’obbligo, come anche il muoversi facendo il minor rumore possibile.
Ricordo il caldo dei giorni d’estate, quando era tutto un frinire di cicale, l’aria ronzava e odorava di resina e polvere. Il canto degli uccelli una colonna sonora che avvolgeva il tutto.
Forse questa sera sto cercando il bambino di allora, ignaro del mondo, indifferente al senso della vita.
Ma che cos’era la vita per un bambino di otto, forse dieci anni seduto su una pietra ad attender che la nonna tornasse?
Nulla, neanche un pensiero che poteva sfiorare la mente quando un tafano vile cadeva stecchito schiacciato dalla mano del bimbo che aveva proditoriamente morso.
Quel corpicino che più non si muoveva non destava pensieri, non evocava domande, era un aspetto di tutto ciò che ci circondava.
Quel bambino, i cui sogni erano mutuati dalle storie che leggeva, non si vedeva adulto, non si chiedeva cosa ne sarebbe stato di lui un giorno, non si poneva il problema di cosa fare da grande.
Per lui il futuro era l’arrivo della nonna ed il rientro a casa in bicicletta, lungo la strada sulla quale 35 anni dopo, sto camminando stasera.
Stasera sto ricercando quel bambino, lo spirito ingenuo, la fiducia incorrotta, sto cercando forse inconsciamente qualche cosa che ho perduto senza saperlo, ed il cui ricordo improvvisamente e dolorosamente mi torna alla memoria.
La luna si è spostata nel cielo, ora minaccia la cima del monte, la prima sigaretta ha occhieggiato per un po’, rossastra, tra le pietre della strada, poi, si è spenta.
Mi tornano alla mente i calzoni corti, ed i fogli di giornale infilati sotto la maglia per non prendere aria allo stomaco ed il profumo del sudore, l’odore del bosco d’estate, del ginepro, dei pini.
Erano giorni d’estate inoltrata, delle vacanze da scuola.
Erano giorni di cow-boy ed indiani, Capitan Miki e Blek Macigno, fumetti divorati, mentre sdraiato al fresco sulle scale di casa attendevo che il mondo giungesse a chiamarmi.
Giorni ad attendere impaziente l’ora in cui per la via passava il carrettino della ‘gelateria veneta’, 20 lire un cono, 30 la coppetta, ed i gusti strani e mai provati ‘’pistacchio? cosa caspita sarà mai il pistacchio?, e se poi non mi piace e spreco le 20 lire di oggi? mmmhhh meglio il cioccolato che vado sul sicuro, il pistacchio lo prendo magari domani."
E rubare la trombetta al Bepi per provare a suonare, …quegli attimi di gioia nell’attesa che il sospirato cono fosse pronto, e leccarlo, come un rito, lentamente mentre piano mi avviavo verso casa.
Nel cortile, all’ombra, mia madre con le altre donne che ricamavano, cucivano, chiacchieravano. Il gelato, nonostante l’impegno per farlo durare, era presto finito e si trattava di far arrivare le 18.00 ora in cui iniziava la Tv dei ragazzi.
E allora libri di avventure riletti più volte, e ancora fumetti, non si poteva giocare in cortile per non disturbare chi andava a riposarsi.
Notte strana questa di gennaio, ho chiuso il giaccone perchè il freddo inizia a farsi pungente, accendo un’altra sigaretta e mi incammino attraverso un ponticello di erba su un tratturo che si inoltra nei prati come ogni giorno, mi inoltro con passo sempre più incerto in questa cosa strana che chiamiamo vivere.